Biologia Gli Organismi Viventi.
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ITINERARI - LE ORIGINI - BIOLOGIA - GLI ORGANISMI VIVENTIINTRODUZIONELa materia vivente che ricopre oggi il nostro pianeta è compresa tutta in un piccolo strato di circa 15 Km di spessore: da 10.000 m sotto il livello del mare nelle fosse oceaniche, dove vive un centinaio di specie animali, alle alte montagne, dove arriva una sola specie, l'uomo. È una pellicola talmente sottile che il suo peso potrebbe superare di poco un miliardesimo di quello della Terra che la sostiene; gli astronauti hanno segnalato che già a mille chilometri di altezza è impossibile scorgere traccia di vita sul nostro pianeta. Si è tentato di definire la vita ricorrendo ad espressioni come: «La vita è tutto ciò che non è morto», oppure: «I viventi sono macchine colloidali ad energia chimica capaci di mantenersi integre ed anche di riprodursi», ma queste definizioni non hanno certamente un carattere scientifico e sono anche poco comprensibili. Se si vuole provare a definire che cos'è la vita, ci si deve limitare a segnalare alcune sue proprietà. Si considera vivente una sostanza in grado di scambiare materia ed energia col proprio ambiente (qualità che si definisce ricambio) e capace di trasformarla in altra sostanza vivente aumentando il proprio volume o complicando le proprie strutture o riproducendosi (qualità che si definiscono accrescimento e riproduzione). La materia vivente possiede inoltre la capacità di sentire e di reagire alle diverse forme di energia presenti nell'ambiente (qualità che si definiscono irritabilità o movimento). Un'ultima importante qualità è l'autoconservazione o omeostasi (dal greco hòmoios = «simile», «uguale» e stàsis dal verbo histànai = «stare», «fermarsi») e cioè la capacità di conservare la propria forma e la propria struttura rispetto all'ambiente e di evolversi in rapporto alle modificate condizioni di quest'ultimo. Queste qualità, magari con forme e adattamenti particolari, sono presenti dove c'è vita. Vediamo, ad esempio, in quante forme si può presentare all'osservazione l'ultima qualità dei viventi che abbiamo ricordato: l'autoconservazione o omeostasi. Se si prende un essere vivente molto primitivo, costituito da una sola cellula, come un protozoo e con un apparecchio che si chiama micromanipolatore, si pratica un'incisione sino a tagliarlo in due parti esattamente uguali, ciascuna di esse in opportune condizioni riformerà la parte mancante: si otterranno così due individui. In questo protozoo l'autoconservazione è fortissima e distribuita in ogni parte del corpo, quando l'ambiente esterno interviene a rovinare la sua integrità, anche gravemente, l'organismo tende a riportarsi nella situazione iniziale. Altri esseri viventi pluricellulari ma sempre poco evoluti conservano vivissima la qualità dell'autoconservazione. I lombrichi, ad esempio, se vengono gravemente feriti o tagliati per due terzi del corpo (lasciando cioè intatta la sola regione della testa) sono capaci di ricostruire la parte mancante. Se il danneggiamento però interessa anche solo minimamente la regione del capo, il lombrico cessa di vivere. Via via che si sale nella scala zoologica da animali più evoluti le rigenerazioni dovute all'omeostasi sono sempre più imperfette e meno estese. Se si afferra una lucertola per la coda, l'animale scappa lasciando la coda nelle mani di chi l'ha afferrato. Accade poi di vedere una lucertola con la coda più tozza e corta. È una coda che grazie all'autoconservazione, dopo essere stata perduta per qualche incidente, è stata rigenerata ma in maniera imperfetta: in questo caso l'animale è in grado di ricostruire il tessuto rovinato, ma difficilmente rigenera l'intero organo. Nei viventi più evoluti e differenziati, l'omeostasi si riduce alla cicatrizzazione, cioè alla chiusura della ferita. Quando ci si taglia, il nostro organismo reagisce immediatamente a questo sconfinamento dell'ambiente esterno e tende a ritornare nella condizione iniziale, rimarginando più o meno faticosamente la ferita. LA GENERAZIONE SPONTANEADell'origine della vita si è sempre discusso e si continua a discutere. Il filosofo greco Aristotele, che visse quattro secoli prima di Cristo, pensava che vita potesse formarsi spontaneamente, da sola, dalla materia non vivente. Era la teoria della generazione spontanea; secondo Aristotele in alcune parti della materia esisteva qualche cosa, un principio attivo, che in condizioni adatte poteva far nascere un organismo vivente. In questo modo Aristotele pensava che nascessero gli insetti e alcuni pesci, per esempio le anguille. Per molti secoli dopo Aristotele si continuò a credere alla generazione spontanea. Soltanto nel secolo XVII Francesco Redi (1626-1698), medico e poeta di Arezzo, pose il problema in modo scientifico. Egli fece un vero e proprio esperimento, senza più richiamarsi, come facevano gli scienziati di quei tempi, alla autorità di Aristotele. Redi organizzò l'esperimento basandosi sull'ipotesi che la vita potesse nascere solo sugli esseri viventi. L'ipotesi derivava dall'osservazione che nella carne in putrefazione si vedono comparire dei «vermi» e che dai «vermi» (che erano le larve delle mosche) si sviluppavano poi delle mosche. Dunque l'ipotesi era che fossero le mosche a generare quei «vermi». Redi prese dei recipienti con l'imboccatura larga, vi mise dei pezzi di carne e di pesce, poi chiuse ermeticamente l'imboccatura di metà dei recipienti, mentre gli altri restavano esposti all'aria e alle mosche. L'esperimento era organizzato in modo che un solo fattore cambiasse, cioè l'apertura dei recipienti; eventuali differenze non potevano derivare altro che da quel fattore. Dopo molti giorni, Redi osservò che solo nei recipienti rimasti aperti si erano sviluppati i «vermi», dunque il fatto era causato dalle mosche che avevano potuto deporre le uova nella carne putrefatta, mentre non erano riuscite a penetrare nei vasi chiusi. L'esperimento fu ripetuto moltissime volte, in condizioni diverse, ma sempre adoperando da una parte carne che non poteva essere toccata dalle mosche, dall'altra carne esposta alle mosche. Redi provò anche a coprire i vasi con garza invece che con carta, in modo che potesse passare l'aria (ma non le mosche) e il risultato fu sempre lo stesso: dunque né la carne né l'aria, ma le mosche producevano «vermi». Era stata dimostrata la validità della teoria che sostiene che la vita può provenire solo da un altro essere vivente, cioè della biogenesi (in greco bíos = «vita» e génesis = «mascita»). Non molti anni dopo gli esperimenti di Redi il naturalista olandese Anton Van Leeuwenhoek (1632-1717) riuscì a costruire un semplicissimo microscopio, col quale fu possibile osservare degli organismi piccolissimi, i batteri, di cui nessuno aveva mai sospettato l'esistenza. Ma come si poteva credere che anche simili esseri potessero nascere per riproduzione sessuata? Così la teoria della generazione spontanea o abiogenesi fu ripresa. Nel 1745 il sacerdote cattolico John Needham (1713-1781) organizzò una serie di esperimenti. Prese dei liquidi nutritivi (brodi di carne, succhi di vegetali o di frutta) e li mise in provette di vetro che poi scaldò alla fiammella. Egli pensava che con quel calore si sarebbe eliminata ogni forma di vita. Tuttavia dopo pochi giorni tutti i liquidi pullulavano di microorganismi. L'esperimento venne ripetuto varie volte e sempre si concluse con la comparsa di quei microbi. Needham trasse la conclusione che la generazione spontanea era una realtà. Venti anni dopo, però, l'italiano Lazzaro Spallanzani (1729-1799) dimostrò la falsità degli esperimenti di Needham facendo prove simili, ma in modo più rigoroso. Racchiuse dei succhi vegetali in 19 recipienti di vetro, li tappò ermeticamente, li fece bollire per un'ora e poi li lasciò riposare per parecchi giorni. L'esame successivo non rivelò nessuna forma di vita. Gli esperimenti di Needham avevano avuto un vizio di origine; il contenuto dei recipienti era soltanto scaldato, ma la temperatura non era stata portata al punto di ebollizione, com'era necessario per distruggere ogni essere vivente: i microorganismi che Needham trovava nei recipienti dopo averli scaldati c'erano già prima che li scaldasse e il calore non li aveva uccisi. Needham non si diede per vinto e replicò che Spallanzani con l'ebollizione aveva «torturato» il principio attivo contenuto nei liquidi, e così lo aveva reso incapace di agire. Cento anni dopo il biologo francese Louis Pasteur (1822-1895) fece degli esperimenti conclusivi. Egli si era occupato della fermentazione dei vini ed aveva scoperto che essa era causata da microorganismi; ma come si producevano questi microorganismi? Pasteur dimostrò a varie riprese che i microorganismi sono contenuti nell'aria, sulla terra, sulle nostre mani. Per dimostrare che i microorganismi non venivano prodotti dalle soluzioni nutritive, ricorse al metodo della sterilizzazione, usando recipienti chiamati «palloni dal collo di cigno». Questi recipienti di vetro furono riempiti con liquidi nutritizi e quindi il collo fu modellato alla fiamma in modo da presentare varie curvature. Anche nei giorni successivi non si osservò alcuna generazione di microorganismi, pur essendo stato il liquido all'aperto. Che cosa era accaduto? Appena il liquido ha finito di bollire, l'aria entra nel pallone, ma il liquido molto caldo uccide i microorganismi contenuti nell'aria. In seguito l'aria entra lentamente e il pulviscolo, insieme coi germi che contiene, si deposita lungo le parti del tubo, ma non giunge a contatto col liquido. Se invece si rompe il collo del pallone o si inclina il recipiente in modo che il liquido entri nel tubo, si sviluppano muffe e batteri. Per eliminare ulteriori dubbi, Pasteur fece altre prove. Lasciò penetrare l'aria nei tubi ma all'interno di alcuni di questi pose un batuffolo di cotone; in quelli senza cotone si svilupparono i germi, mentre in quasi tutti quelli col cotone, non se ne svilupparono. Questo significava che i microorganismi erano trasportati dall'aria: se il cotone li filtrava bene questi non passavano. Pasteur fece anche una controprova; tolse i cotoni dai tubi e li mise nei brodi nutritizi: subito i microorganismi ricominciarono a crescere. Era una conferma che il cotone conteneva i microorganismi filtrati dall'aria che vi era passata. IL PROBLEMA DELL'ORIGINE DELLA VITAFino a qualche secolo fa c'era chi sosteneva che le oche provenissero da certi abeti che si erano trovati a contatto con gli oceani e che gli agnelli avessero avuto origine da alberi che avevano frutti simili a meloni. Nel secolo XVII il medico belga J.B. Van Helmont suggerì una ricetta per far nascere i topi in ventun giorni: bastava mettere a contatto una camicia sporca con dei chicchi di grano. Il sudore umano di cui era impregnata la camicia avrebbe fatto nascere topi. Questo medico si meravigliava molto che i topi nati in questo modo fossero uguali a quelli che nascevano dall'accoppiamento fra un topo maschio e un topo femmina. Se avesse messo la camicia e il grano, in una scatola chiusa dove i topi non potessero entrare, si sarebbe accorto che da una camicia e dal grano non nascono topi né in ventun giorni né mai.LE ORIGINI DELLA VITAPer spiegare l'origine della vita sulla Terra sono state formulate diverse ipotesi, che possono essere classificate in quattro gruppi.1) L'ipotesi creazionistica appartiene soprattutto alle religioni (per esempio all'inizio della Bibbia si dice che Dio creò i cieli e la Terra, la luce, le acque e la terraferma, i vegetali, le stelle, gli animali acquatici e terrestri e infine l'uomo). Secondo questa ipotesi, l'origine della vita risale ad un evento soprannaturale, che ovviamente non può essere descritto, perché nessuno può avervi assistito. Ad una simile teoria si può credere solo per fede, perché non è possibile cercare una conferma sperimentale. 2) Una seconda ipotesi sostiene che la vita non può mai aver avuto origine nell'universo, in quanto è sempre esistita come proprietà della materia. Secondo questa teoria la prima fonte della vita sulla Terra fu costituita da batteri presenti su particelle di polvere o su meteoriti provenienti da altri mondi dell'universo. La teoria fu sostenuta agli inizi del nostro secolo dallo scienziato svedese Svante August Arrhenius (1859-1927) il quale pensava che gli organismi microscopici progenitori di ogni forma di vita sulla Terra si fossero staccati da altri mondi e spinti dalla luce (la luce è materiale, quindi può esercitare una spinta) fossero giunti dopo alcune migliaia di anni sul nostro pianeta. È stato dimostrato che certi microorganismi possono sopportare temperature bassissime, anche 200 gradi sotto zero, e l'assenza di umidità e di ossigeno, condizioni che si trovano negli spazi, perciò sarebbero potuti giungere sulla terra nelle condizioni immaginate da Arrhenius. Negli spazi di là dall'atmosfera terrestre, eventuali microorganismi però, sarebbero stati sottoposti a radiazioni di raggi ultravioletti, che li avrebbero distrutti. 3) Una terza ipotesi è quella - detta autotrofa (dal greco autòs = «se stesso» e tréphein = «nutrire»). Quando si considera il problema dell'origine della vita, si pensa che tutti gli organismi viventi hanno bisogno di nutrimento e devono procurarselo. Ma ce ne sono di quelli che sono in grado di fabbricare da sé al proprio nutrimento e si dicono appunto autotrofi. Sono autotrofi tutte le piante verdi e certi batteri. L'ipotesi autotrofa parte dall'idea che la prima forma di vita fosse un organismo capace di provvedere da sé al proprio nutrimento e perciò potesse vivere e svilupparsi nelle condizioni di assenza di vita precedente. Ma i procedimenti chimici necessari per produrre le sostanze nutritive sono molto complicati. Come avrebbero fatto esseri viventi appena formati ad avere una complessità tale da poter compiere queste funzioni complicate? Sembra più naturale pensare che i primi esseri fossero semplici, non complessi. 4) Per questo si preferisce l'ipotesi eterotrofa (héteros = «altro»). Si chiama eterotrofo un organismo incapace di fabbricare da sé il proprio nutrimento. Sono eterotrofi l'uomo, gli animali, una parte di batteri e delle piante, fra cui le muffe e i funghi. Secondo l'ipotesi eterotrofa, la prima forma di vita si è prodotta da una materia non vivente, incapace di fabbricare il proprio nutrimento. Sembra una teoria simile a quella della generazione spontanea, ma c'è una profonda differenza. Infatti la teoria della generazione spontanea sosteneva che improvvisamente nascessero organismi complessi dalla materia inerte con un processo che poteva avvenire in qualunque momento. Invece l'ipotesi eterotrofa suppone che un organismo estremamente semplice si sia lentamente evoluto da una materia non vivente miliardi di anni fa in un complesso di particolari condizioni ambientali. In origine la Terra e l'atmosfera erano molto diverse da come sono oggi. Si è calcolato che l'età della Terra sia di circa 4,5 miliardi di anni, e l'esame dei fossili ha dimostrato che fino a 3,5 miliardi di anni fa non c'era vita sulla Terra. Come si è visto, è probabile che il Sole e i pianeti si siano formati dentro una nuvola di polvere cosmica; la Terra all'inizio era una massa di materia relativamente piccola, che andò aumentando di volume via via che la forza di gravità attirava sempre maggiori quantità di particelle di polvere. Aumentando il volume della Terra aumentava anche la gravità, e così crebbe la coesione delle particelle che furono compresse le une contro le altre. A questo punto la temperatura della Terra cominciò a salire. Dopo un periodo di temperatura altissima, iniziò il raffreddamento si formarono molti composti chimici, i più pesanti dei quali sprofondarono verso il centro, mentre i più leggeri contribuirono a formare la superficie della Terra. La Terra raffreddata si fece più compatta e con la sua massa riuscì ad esercitare una forza di attrazione tale che i gas che uscivano dal suo interno invece di dissolversi nello spazio si mantenevano attorno ad essa. L'atmosfera terrestre è composta per l'80 per cento di azoto, per il 20 per cento soprattutto di ossigeno e poi di altri gas fra cui l'anidride carbonica. L'atmosfera delle origini era assai diversa da quella di oggi; era composta principalmente di vapore acqueo, idrogeno, metano ed ammoniaca. Questi elementi contenevano ciò che era necessario per formare la base della vita. Secondo l'ipotesi eterotrofa, prima che sorgesse la vita esisteva già una riserva di sostanze organiche molto semplici, formatasi nell'atmosfera forse per effetto delle scariche elettriche e delle irradiazioni ultraviolette e trasportate dalla pioggia negli oceani che ricoprivano il globo. In questi oceani si formò così un «brodo caldo e diluito» in cui ebbero origine esseri elementari, costituiti da molecole semplici aggregate insieme e nelle quali avvenivano reazioni chimiche non molto complesse. Le prime forme di vita sulla Terra IL CICLO DEL CARBONIOL'ipotesi eterotrofa sull'origine della vita spiega come le sostanze organiche si siano unite in elementi semplici dando luogo alle prime forme di vita. La successiva organizzazione di questi elementi semplici (cioè le molecole organiche) condusse presumibilmente alla formazione degli organismi unicellulari, costituiti cioè da un'unica cellula. Lo stadio finale dell'evoluzione di questi esseri unicellulari è costituito dalle cellule complesse che si possono osservare con strumenti ottici molto perfezionati ricostruendo il cammino che deve essere stato compiuto nei millenni dell'evoluzione. Si sa ormai che le cellule sono elementi di dimensioni variabili e di struttura piuttosto complicata e che esse costituiscono le unità fondamentali dei tessuti che compongono i vari organismi animali e vegetali.Le cellule sono delimitate da una membrana cellulare: questa membrana si è probabilmente evoluta da un primitivo strato che circondando gli aggregati di molecole iniziali permetteva il passaggio di alcune sostanze dal «brodo» degli antichi oceani all'organismo in evoluzione. Poiché il mantenimento di un'organizzazione complessa richiede un certo dispendio di energia, gli organismi eterotrofi si sono evoluti man mano che hanno acquistato la capacità di sfruttare dei meccanismi che liberassero energia. Via via che le sostanze organiche contenute negli oceani primitivi andarono esaurendosi, consumate da una sempre maggiore popolazione di cellule, entrò in funzione un nuovo meccanismo per la produzione di energia. In quel momento cioè, essendosi esaurito il materiale nutritizio, tutti gli organismi che non erano capaci di sopravvivere in altro modo erano condannati all'estinzione. Furono invece avvantaggiati quegli esseri che potevano svolgere le loro funzioni vitali utilizzando altre sostanze di energia. Questi esseri erano in grado di trasformare l'energia della luce solare in energia chimica. In questo modo si liberò ossigeno nell'atmosfera. A sua volta l'ossigeno permetteva di sviluppare una maggiore quantità di energia dalle reazioni chimiche, di compiere cioè la stessa funzione con minore spreco. Si svilupparono quindi nelle cellule le strutture necessarie a questo nuovo tipo di funzioni ed alla conservazione dell'energia immagazzinata. Si ebbe così il passaggio da organismi eterotrofi, costretti a servirsi si sostanze già costruite, ad organismi autotrofi, capaci di recuperare autonomamente l'energia necessaria alla propria sopravvivenza. Il procedimento attraverso il quale si ottiene la trasformazione dell'energia radiante della luce solare in energia chimica prende il nome di fotosintesi e non è stato ancora chiarito in tutti i suoi particolari. La fotosintesi clorofilliana è l'attuazione di questo procedimento da parte delle foglie verdi per mezzo della clorofilla. La clorofilla è un pigmento verde, che colora appunto le foglie e funziona come intermediario fra energia radiante ed energia chimica. Anche i primi organismi autotrofi usarono probabilmente l'energia luminosa servendosi di sostanze colorate simili alle clorofille e ricavarono da questo procedimento una quantità di energia superiore a quella ottenuta scindendo le sostanze organiche. I materiali elementari da cui partire per effettuare la fotosintesi sono l'anidride carbonica e l'acqua. Il pigmento con un meccanismo ancora in parte oscuro incamera l'energia della luce del sole e la restituisce sotto forma di energia chimica che la cellula sfrutta per rompere i legami che tengono unite le molecole dell'acqua e dell'anidride carbonica e utilizzarne gli atomi per costruire le molecole di zuccheri che compongono in parte le piante. (Gli zuccheri sono dei composti di carbonio, idrogeno e ossigeno di cui fa parte lo zucchero che noi mangiamo; essi opportunamente combinati formano l'amido e la cellulosa che sono componenti fondamentali del mondo vegetale). Da questo procedimento una parte dell'ossigeno viene emessa libera nell'atmosfera ed è appunto da questo tipo di reazione che proviene la riserva di ossigeno della nostra atmosfera grazie alla quale gli animali, compreso l'uomo, possono respirare. L'evoluzione della fotosintesi negli organismi unicellulari primitivi ha prodotto due importanti risultati: il primo è che da allora in poi la sopravvivenza degli esseri viventi non è più esclusivamente condizionata dalla riserva di sostanze organiche già costituite e la seconda che la produzione di ossigeno permette agli organismi di bruciare le sostanze nutritizie a disposizione ottenendone una maggiore quantità di energia. La produzione di energia è fondamentale perché la cellula possa non solo mantenere la sua organizzazione ma anche provvedere a tutte le operazioni necessarie per accrescersi e dividersi. In realtà le cellule degli organismi viventi funzionano come motori a vapore. Se si vuol farli funzionare bisogna fornir loro del carbone; mentre il carbone brucia, l'energia contenuta nei suoi legami chimici viene trasformata in calore, il calore viene sfruttato per produrre vapore e dal vapore si può ottenere moto o elettricità. Rispetto al motore la cellula ha la particolarità di svolgere tutte le sue trasformazioni ad una temperatura piuttosto bassa; perciò a partire dagli organismi primitivi nelle cellule si perfezionarono serie di meccanismi con i quali fu possibile incamerare e sfruttare energia in condizioni molto limitanti. In realtà tutti gli organismi viventi, autotrofi o eterotrofi, sono parassiti dell'energia solare, ma mentre gli autotrofi la sfruttano direttamente per mezzo dei pigmenti, gli eterotrofi usano le sostanze più complesse che gli autotrofi producono con la fotosintesi. Schema: la fotosintesi clorofilliana LA TEORIA CELLULAREL'ipotesi che tutti gli organismi viventi fossero costituiti di cellule si sviluppò in un lungo arco di tempo, man mano che la costruzione e l'impiego di lenti più perfezionate permisero di osservare le strutture più fini degli animali e delle piante.La parola «cellula» per definire gli elementi che compongono i tessuti di un organismo, fu usata per la prima volta da uno scienziato inglese, Robert Hooke, nel 1665. Egli si servì di un microscopio composto per esaminare delle sottilissime fettine di sughero. All'esame microscopico il sughero si presentava, sono parole di Hooke, «tutto perforato e poroso quasi come un favo». Questi pori o cellule non erano molto profondi, ma erano formati da tante piccolissime «scatole». Hooke accompagnò la descrizione delle sue osservazioni con disegni che riproducevano molto fedelmente le strutture da lui osservate e che sono i primi documenti che testimoniano l'esistenza degli elementi cellulari. Quasi contemporaneamente un altro studioso inglese, Nehemiah Grew, che si interessava di piante, descrisse le sue osservazioni deducendone che le piante erano per la maggior parte costituite da un'infinità di piccole cellule e vescicole. Col diffondersi dell'uso del microscopio, molte altre osservazioni fondamentali furono compiute nei vari campi della biologia e si fece sempre più strada la convinzione che tutti gli esseri viventi fossero costituiti da piccole unità cellulari. Trascorsero più di 150 anni dalla descrizione di Hooke prima che qualche studioso fosse in grado di esporre una teoria in cui potessero essere comprese tutte le notizie che si erano accumulate a proposito delle cellule. Agli inizi del XIX secolo due biologi tedeschi, Theodor Schwann e Matthias Schleiden, confrontando i risultati dei loro studi con le esperienze che si erano accumulate fino ad allora esposero una teoria in grado di comprenderle tutte e di spiegarle. Questi scienziati affermarono che le cellule sono l'elemento fondamentale di tutti gli organismi viventi, dai più semplici ai più complessi, e che queste cellule, pur funzionando indipendentemente l'una dall'altra, collaborano all'esistenza dell'organismo di cui fanno parte. Ma come si riproducono le cellule? Sia Schleiden che Schwann si erano posti il problema e l'avevano risolto in maniera un po' troppo semplicistica, pensando che le cellule, piccolissime, si formassero dentro le cellule più vecchie. In seguito altri scienziati osservarono che una cellula dividendosi a metà dava origine a due cellule figlie identiche ad essa. Ciascuna cellula cioè aveva origine da una cellula eguale. Questo secondo principio fondamentale della biologia fu affermato dal patologo tedesco Rudolph Virchow nel 1855. Fu così che nel giro di pochi anni, grazie alla diffusione degli strumenti ottici e alla collaborazione di un notevole numero di studiosi negli argomenti più diversi, furono affermati due principi fondamentali su cui si basa tutta la biologia moderna. Al giorno d'oggi i meccanismi di funzionamento delle cellule sono al centro dell'attenzione degli studiosi e ad essi si fa sempre riferimento quando ci si deve occupare di organismi complessi. In realtà tutte le funzioni degli esseri viventi hanno origine dalle cellule perché dipendono spesso da strutture che sono contenute dentro di esse. Molte funzioni sono condizionate dalla collaborazione di numerose cellule diverse che lavorano insieme (come ad esempio accade per gli ormoni prodotti dalle cellule di alcune ghiandole che influenzano la funzionalità di altre cellule, tessuti ed organi) per cui si può dire che l'esistenza di un qualsiasi essere vivente è quasi interamente condizionata dalla vita delle sue cellule e dalle relazioni che si stabiliscono fra esse. LA CELLULAGli studiosi che affrontarono l'esame della cellula stabilirono di agire in due differenti direzioni che con l'andar del tempo e il perfezionarsi della tecnica tesero a confluire in un unico spazio di ricerca. Alcuni si dedicarono alla ricerca dell'anatomia della cellula, mentre altri tentarono di stabilirne la struttura funzionale, cioè di trovare come funzionino i numerosi e complicati organismi cellulari.Gli studiosi del primo tipo si preoccuparono quindi di farsi costruire dei microscopi sempre più potenti e perfezionati le cui immagini nitide permettessero di avere un'idea precisa della struttura della cellula. Contemporaneamente si svilupparono delle tecniche per mezzo delle quali fosse possibile conservare ai tessuti preparati per l'osservazione al microscopio un aspetto il più possibile simile a quelli viventi, dato che tutti i metodi utilizzati uccidono le cellule provocandone l'alterazione. Viceversa i ricercatori delle funzioni cellulari tentarono di distruggere l'integrità della cellula per vedere come funzionava chimicamente il materiale raccolto. Tutti e due i metodi di affrontare il problema hanno permesso di ottenere un quadro della cellula funzionante, che verosimilmente corrisponde alla realtà. Prima di delineare questo quadro, bisogna precisare che non esiste una cellula tipica, una cellula per definizione. Molti organismi unicellulari sono fra loro differenti e le cellule che appartengono a vari tessuti sono diverse, tuttavia tutte le cellule sono costituite da un rivestimento esterno detto membrana, da un nucleo e da un citoplasma che comprende varie strutture. La membrana cellulare separa la cellula dall'ambiente e funziona da mezzo di scambio. Essa svolge numerosi compiti: 1) delimita il contenuto della cellula, 2) fornisce materiale per l'organizzazione degli organelli cellulari, 3) regola l'entrata e l'uscita delle sostanze, 4) condiziona i rapporti della cellula con altre cellule e con l'ambiente, 5) fornisce un substrato alla organizzazione spaziale di molecole di enzimi o di pigmenti che compiono funzioni particolari, come ad esempio il trasporto di elettroni. Esistono vari modelli di organizzazione delle membrane cellulari: il modello del «mosaico fluido» è oggi largamente accettato e prevede che le membrane biologiche siano costituite da un doppio strato di molecole di fosfolipidi con molecole di proteine variamente distribuite alle superfici o all'interno degli strati. Questa struttura è molto plastica e consente alle membrane di adattarsi ai vari momenti della vita della cellula. Tutte le membrane delle cellule hanno la stessa configurazione di base. Quasi tutte le cellule, salvo qualche eccezione (per esempio i globuli rossi nell'uomo), possiedono un nucleo: esso è costituito da alcune sostanze caratteristiche, gli acidi nucleici DNA e RNA, che gli permettono di funzionare da centro organizzatore della cellula. Nell'acido nucleico del nucleo, chiamato DNA (acido desossiribonucleico) è contenuto infatti il programma della cellula ed esso controlla perciò le funzioni dell'accrescimento e della riproduzione assicurando che le cellule figlie siano uguali alla cellula originale. Il DNA è organizzato nei cromosomi che si osservano nel nucleo soprattutto al momento della divisione. Il nucleo è delimitato, nelle cellule eucariotiche da una membrana nucleare che invece manca nelle cellule dei procarioti (batteri). All'interno del nucleo sono contenute una o più masselle dette nucleoli nei quali si accumula una parte dell'altro acido nucleico cellulare detto RNA (acido ribonucleico). Tutto il materiale che è situato al di fuori del nucleo ma è contenuto dentro la membrana cellulare viene definito citoplasma. Nel citoplasma entrano, attraverso la membrana cellulare, le sostanze nutritizie che la cellula utilizza per vivere e si accumulano i prodotti di rifiuto che devono essere eliminati. A questo scopo il citoplasma contiene varie formazioni che svolgono funzioni complesse come gli organi di esseri superiori. Nel citoplasma sono presenti sotto forma di granuli degli organismi che funzionano come minuscole centrali elettriche, immagazzinando energia e distribuendola poi alla cellula che così può nutrirsi e accrescersi. A seconda che si tratti di cellule animali o vegetali, questi elementi hanno una differente struttura: nelle cellule vegetali captano l'energia della luce solare per mezzo della fotosintesi (cloroplasti), mentre nelle cellule animali ricavano l'energia necessaria alla vita della cellula estraendola dai legami chimici delle sostanze nutritizie (mitocondri). Esistono poi dei piccoli spazi come le vescicole che ad esame frettoloso potrebbero sembrare vuoti: sono i vacuoli e funzionano come riserve di materiale nutritizio oppure contengono l'eccesso di acqua, oppure ancora le sostanze che devono venire eliminate. Esistono infine dei corpiccioli detti lisosomi, i quali contengono delle sostanze che una volta messe in funzione sono in grado di distruggere la cellula. I lisosomi vengono mantenuti costantemente sotto controllo della cellula e vengono liberati solamente quando la cellula morta deve essere eliminata. I corpi del Golgi sono pile di sacchi membranosi che funzionano nella cellula in fase di secrezione; il reticolo endoplasmatico somiglia ad una rete di tubuli ed è variamente interessato alla sintesi delle proteine cellulari. Nelle cellule provviste di appendici (ciglia o flagelli) sono presenti nel citoplasma dei corpiccioli tubulari aggregati che ne costituiscono le basi e forniscono loro l'energia. La rigidità dell'intera struttura cellulare è garantita dalla presenza di un citoscheletro costituito da microtubuli e microfilamenti proteici. > LA MITOSIFino a un centinaio di anni fa, sebbene molti scienziati fossero convinti della validità della teoria cellulare, riusciva estremamente difficile capire come facesse una cellula a produrne un'altra eguale. Questa difficoltà era dovuta soprattutto all'impossibilità di osservare le cellule viventi al microscopio. Le cellule vive al microscopio sono trasparenti: il nucleo e le altre parti che compongono la cellula possono essere messe in evidenza colorandole.Quando si scoprì che certe sostanze, come l'anilina, possono colorare le cellule e che è possibile ridurre i tessuti in sezioni abbastanza sottili, in modo da renderli trasparenti, si poté ottenere abbastanza rapidamente un certo numero di informazioni sul procedimento attraverso il quale una cellula può diventare due cellule. Il processo di divisione cellulare attraverso il quale le nuove cellule nascono dalle cellule precedenti prende il nome di mitosi. Nella divisione cellulare sono compresi due processi: il raddoppiamento del nucleo e la divisione del citoplasma. Grazie alla riproduzione delle sue cellule ciascun organismo è in grado di accrescersi. È molto importante che le cellule si duplichino in maniera precisa, altrimenti potrebbe accadere che tutti i caratteri acquisiti nel corso di generazioni e generazioni durante l'evoluzione vadano perduti e la nuova cellula sia perciò disadatta alla sopravvivenza e si estingua. Il patrimonio ereditario di ogni cellula è racchiuso in un piccolo numero di cromosomi che si ritrovano a coppie nel nucleo di ogni cellula. Il termine cromosoma, che vuol dire «corpo colorato», deriva proprio dal fatto che il nucleo è la parte meglio colorabile della cellula. In condizioni normali i cromosomi hanno l'aspetto di spaghetti sottili e lunghi racchiusi dentro la membrana nucleare. Il primo che osservò le varie fasi attraverso le quali una cellula si divide fu il biologo tedesco Walther Flemming, il quale riuscì a vedere al microscopio nel 1882 delle cellule che si stavano dividendo; colorò allora il tessuto che stava osservando e fissò il fenomeno che si verificava sotto i suoi occhi. In seguito fu possibile osservare che il processo della mitosi avviene in maniera analoga in tutte le cellule, salvo rare eccezioni. Durante la mitosi la membrana nucleare scompare e i cromosomi diventano dei bastoncini corti e tozzi. Ogni cromosoma si sdoppia nel senso della lunghezza e nel posto dove prima se ne poteva vedere uno solo ora se ne osservano distintamente due. Poiché di ogni cromosoma una cellula possiede due esemplari, al termine di questa prima fase ne esistono quattro per tipo. Ogni coppia di cromosomi tende a migrare verso un'estremità della cellula, fino a che due gruppi identici di cromosomi si trovano ai due poli opposti. Contemporaneamente fra i due gruppi di cromosomi esiste un fascio di fibre chiamato «fuso» che ad un certo punto comincia a presentare una sorta di strozzatura e si divide; anche il resto della cellula inizia il suo processo divisionale. Al termine una nuova membrana nucleare racchiude i nuovi cromosomi che si ridistendono all'interno di essa. Ciascuna delle due nuove cellule ha nel suo nucleo una coppia di cromosomi identici a quelli della cellula madre che garantisce la sua somiglianza con l'originale. Infatti anche il numero dei cromosomi presenti in ciascuna cellula è un particolare importante. Ciascuna specie animale o vegetale ha un ben definito numero di cromosomi tipico della specie. Il numero dei cromosomi non è in rapporto con la complessità dell'organismo; per esempio l'uomo ne possiede 23 coppie in ciascun nucleo delle sue cellule mentre il gambero ne possiede più di cento. Sebbene tutti i successivi stadi della mitosi siano ormai noti, non si sa ancora con precisione quali siano le forze che inducono tutta la successione degli eventi prima descritti. I BATTERII batteri sono organismi unicellulari delle dimensioni dell'ordine dei millesimi di millimetro. Furono scoperti dai primi osservatori che si dedicarono all'uso del microscopio. Anton Van Leeuwenhoek, studiando con la sua lente rudimentale molte sostanze, scoprì che esse erano popolate da migliaia e migliaia di piccoli organismi in movimento di cui nessuno prima di allora aveva sospettato l'esistenza. Egli ne lasciò anche dei disegni che fanno capire chiaramente come i piccoli esseri descritti fossero appunto quelli che noi oggi chiamiamo germi o batteri.Molte delle informazioni che oggi possediamo a proposito delle cellule sono state ricavate dallo studio delle cellule batteriche. Come tutte le cellule i batteri posseggono una membrana, un citoplasma e alcune strutture che funzionano da nuclei; in più possiedono una parete cellulare che è esterna alla membrana e dà alla cellula una struttura rigida e una forma ben definita. Questa struttura è tipica dei protisti procariotici che, come dice anche la parola, hanno una struttura nucleare non ben definita, priva della membrana nucleare. Dal punto di vista dell'informazione genetica i batteri sono aploidi, cioè i loro caratteri sono codificati da geni che non presentano forme alleliche, anche se il gene può avere più di un cromosoma. Il cromosoma contiene qualche migliaio di geni ed è lungo, quando è svolto, più della cellula batterica che lo contiene. All'interno del citoplasma il cromosoma è avvolto su se stesso come una matassa ed è ancorato ad alcune estroflessioni della membrana citoplasmatica dette mesosomi. Esistono tre forme tipiche di cellule batteriche che già Van Leeuwenhoek aveva disegnato: una forma sferica che viene definita cocco, una forma a bastoncino, il bacillo, ed una forma a spirale, lo spirillo. Alcuni batteri sono mobili, possiedono cioè alcune appendici che agitandosi nell'ambiente permettono spostamenti piuttosto rapidi: queste appendici prendono il nome di ciglia. Quasi tutti i batteri sono eterotrofi, ma ne esistono alcuni che recuperano energia mediante un processo di fotosintesi. I batteri sono numerosissimi in tutti gli ambienti e nell'organismo dell'uomo e degli animali. Solo pochissimi possiedono dei meccanismi di patogenicità che li rendono capaci di provocare malattie; talvolta batteri opportunisti, privi di vere proprietà patogene riescono a provocare malattie in individui che per diversi motivi, spesso a causa di altre malattie, sono meno resistenti alle infezioni. Esistono poi batteri utili all'uomo perché sintetizzano certe sostanze, come le vitamine, di cui l'organismo umano non può fare a meno. Se per qualche motivo i batteri utili vengono eliminati dall'organismo, occorre compensarne la perdita aggiungendo le vitamine alla dieta. Certi batteri si nutrono di sostanze organiche morte di cui provocano la decomposizione: con questo procedimento il materiale organico viene ridotto ad elementi molto semplici come acqua, ammoniaca, anidride carbonica, sali minerali. Queste sostanze restituite alla terra vengono utilizzate dalle piante per la sintesi di nuove sostanze organiche; in questo modo gli atomi di carbonio e di azoto compiono un ciclo nel quale vengono costantemente riutilizzati. È quindi probabile che gli atomi che attualmente costituiscono il nostro organismo abbiano fatto parte di altri esseri vissuti centinaia di migliaia di anni fa. Dal momento in cui furono individuati, i batteri hanno costituito un interessante oggetto di studio, sia perché causano molte malattie sia perché possiedono particolari attività biologiche. La fermentazione alcoolica, per esempio, è condizionata dalla presenza dei batteri. Soprattutto nel campo della genetica, essi hanno quasi completamente soppiantato, come oggetto di esperimento, animali più grandi e complessi. I batteri infatti hanno su tutti gli altri organismi il vantaggio di riprodursi molto rapidamente: ogni venti minuti circa da una cellula batterica se ne ottengono due identiche. In brevissimo tempo si hanno perciò popolazioni numerosissime di batteri tutti eguali provenienti da un'unica cellula madre. Queste popolazioni possono essere usate per studiare come si forma la resistenza nei confronti di certe sostanze nocive ai germi come gli antibiotici, oppure il comportamento di fronte a certi agenti fisici come i raggi ultravioletti, o chimici (sostanze che provocano un mutamento nel corredo genetico della cellula batterica). I VIRUSI virus sono gli esseri più semplici che possiedano le proprietà fondamentali degli organismi viventi: hanno la capacità di riprodurre entità uguali a se stesse e di subire modificazioni nelle loro caratteristiche ereditarie. Sono organismi invisibili con i normali microscopi e sono parassiti delle cellule viventi perché non possiedono un'organizzazione cellulare che permetta loro di essere autosufficienti.Le particelle virali, i virioni, hanno una struttura relativamente semplice: la serie dei cromosomi, il genoma, a RNA o a DNA è racchiuso da un guscio formato da proteine che viene chiamato capside ed ha una struttura geometrica: i virus possono avere forma di bastoncelli, o poliedrica e talvolta possiedono una coda. In qualche caso il virione è avvolto da un pericapside, che ha una struttura simile a quella della membrana cellulare. Per riprodursi i virus devono sfruttare gli apparati biochimici delle cellule di cui sono ospiti, anzi parassiti. Esistono virus animali, vegetali e batterici a seconda del tipo di cellula a spese della quale si riproducono. Ogni virus è capace di infettare solo uno o pochi tipi di cellule, ma può rimanere a lungo inerte senza perdere la sua capacità infettante. Sono state proprio le caratteristiche dei virus a persuadere i ricercatori, che è difficilissimo stabilire una linea di demarcazione fra il più semplice organismo vivente e la più complessa molecola non vivente. Molti virus sono causa di malattie per l'uomo: poliomielite, morbillo, rosolia, varicella, ecc. A grandi linee la moltiplicazione di un virus avviene in una serie di fasi successive: inizialmente il virus riconosce la cellula sensibile per mezzo di recettori situati sulla membrana della cellula e sul proprio involucro; una volta dentro la cellula funziona solo il cromosoma che dirige la sintesi della cellula in modo da ottenere tantissime copie di cromosomi virali e altrettante proteine che costituiscono il capside. Le nuove particelle virali si formano quando i cromosomi vengono avvolti dalle proteine; la cellula ospite a questo punto viene distrutta e migliaia di particelle virali vengono liberate pronte per riprendere, in altre cellule, un nuovo ciclo di riproduzione. Nonostante questa apparente semplicità i virus hanno gradi di complessità proporzionali al numero di geni contenuti nel loro cromosoma, da tre a diverse centinaia. AIDS, LA TRAGICA EPIDEMIA DI FINE MILLENNIOLa comparsa ufficiale dell'AIDS risale al 1980, quando furono segnalati i primi casi nelle grandi città americane, in particolare tra le comunità omosessuali. In seguito venne scoperto che nell'Africa equatoriale e ad Haiti la malattia era già presente da alcuni anni. A tutt'oggi risulta ancora difficile stabilire con esattezza dove abbia avuto origine l'epidemia che ha segnato tragicamente la fine del secondo millennio.La Sindrome da Immuno Deficienza Acquisita (SIDA, meglio nota come AIDS), è una malattia virale, caratterizzata da un deficit del sistema immunitario. La causa eziologica di questa patologia è un virus del gruppo dei retrovirus, denominato HIV (Human Immunodeficiency Virus), isolato per la prima volta nel 1981all'Istituto Pasteur di Parigi. L'HIV attacca alcune cellule, i linfociti T helper/inducer o linfociti OKT4, che sono importantissimi nell'organismo umano per la risposta contro le aggressioni esterne. In questo modo l'HIV riduce le capacità del sistema immunitario di combattere virus, batteri, protozoi e funghi. Dopo aver indebolito e annientato i linfociti, il virus persiste nell'organismo, grazie alla capacità di integrarsi con il DNA nella cellula infettata. Una volta raggiunto lo stadio di integrazione (che avviene poco dopo l'infezione), il virus può permanere a lungo silente all'interno delle cellule. Quando una persona entra in contatto con l'HIV diventa sieropositiva. Questo può accadere in un certo lasso di tempo, detto periodo finestra, che può durare fino a sei mesi. La sieropositività non è indice di malattia conclamata, ma solo di avvenuto contagio. Questa fase può durare molti anni perché il virus impiega parecchio tempo prima di provocare dei danni irreversibili all'organismo. La fase successiva, detta LAS (Linfoadenopatia Sistemica) è caratterizzata dall'ingrossamento dei linfonodi senza ulteriori sintomi evidenti. La fase di AIDS conclamato inizia con la comparsa di astenia intensa, significativo calo ponderale, sudorazioni notturne, febbre e diarrea persistenti, successive e sempre più frequenti infezioni di varia natura. Le infezioni tipiche di questa sindrome sono una ventina, distinte in: infezioni da batteri e protozoi, tra cui sono frequenti la Pneumocistosi (una polmonite causata da un protozoo di nome Pneumocistis Carinii), laToxoplasmosi (causata dal Toxoplasma Gondii, un protozoo che colpisce il cervello, l'occhio e raramente il polmone) e laTubercolosi (malattia causata dal bacillo di Koch); infezioni da virus, tra cui l'Herpes o le infezioni da CitoMegaloVirus e HHV-8; tumori, quali linfomi, carcinomi e il Sarcoma di Kaposi; infezioni micotiche, tra cui è frequente l'infezione da Candida, fungo che nelle persone immunodepresse si sviluppa in prevalenza in bocca e nell'esofago. La diagnosi viene effettuata mediante un test che rivela la presenza nel siero degli anticorpi specifici che il nostro sistema immunitario sviluppa dopo aver contatto il virus. In caso di esito positivo al primo test, denominato ELISA (Enzime Linked Immuno Sorbent Assay),è possibile effettuare degli esami più approfonditi al fine di avere una diagnosi esatta. In primo luogo si effettua il Western Blot, test più attendibile rispetto all'ELISA ma che non viene utilizzato in fase di screeening iniziale a causa del costo molto elevato. In seguito il paziente viene sottoposto a test per valutare quanto il virus HIV abbia danneggiato il sistema immunitario (conta dei linfociti). Esistono anche esami sul genotipo e fenotipo virale, che servono a individuare i ceppi mutanti resistenti ai farmaci. Il virus HIV si trasmette attraverso tre modalità principali: per via ematica (negli anni passati numerosi casi di malattia sono derivati da trasfusioni o infusione con emoderivati infetti, ma dal 1988 in Italia il sangue impiegato in ambito ospedaliero viene sottoposto a severi screening per il virus HIV; un'altra delle principali vie di trasmissione del virus è rappresentato dallo scambio di siringhe tra tossicodipendenti); per via sessuale (la trasmissione mediante i rapporti eterosessuali può avvenire in modo biunivoco, ovvero da uomo a donna e viceversa; la trasmissione attraverso altri liquidi organici - lacrime o saliva - non è mai stata dimostrata); per trasmissione materno-fetale (la madre può trasmettere il virus HIV al figlio durante la gravidanza, al momento del parto o attraverso l'allattamento; studi scientifici hanno dimostrato una notevole riduzione di casi di trasmissione dell'HIV nel caso in cui la madre sia sottoposta ad idonea terapia durante la gravidanza e partorisca con parto cesareo). Le categorie maggiormente a rischio sono: tossicodipendenti, omosessuali e bisessuali maschi, politrasfusi, emofilici e coagulopatici, figli di madri sieropositive, partner sessuali di sieropositivi e di appartenenti alle altre categorie a rischio. Una corretta informazione può contribuire a evitare il rischio di contrarre la malattia. Per questo motivo la Commissione Nazionale per la lotta contro l'AIDS ha messo a punto un programma di prevenzione indicando le precauzioni da adottare: evitare rapporti sessuali occasionali e ricorrere all'uso del profilattico in caso di partner occasionali; usare siringhe a perdere ed evitarne lo scambio e la riutilizzazione; in caso di trasfusione usare sangue proveniente da centri trasfusionali autorizzati. l virus HIV non si trasmette nei normali contatti quotidiani. La convivenza con persone sieropositive non presenta alcun rischio purché vengano rispettate le comuni norme igieniche, come non usare oggetti che possono entrare in contatto con il sangue, quali spazzolini da denti, forbici, rasoi, ecc. La terapia dell'AIDS, non ancora risolutiva né soddisfacente, si basa su farmaci volti a contrastare la replicazione del virus, a combattere le superinfezioni, a sostenere il sistema immunitario. La comunità scientifica mondiale si adopera alla ricerca di un vaccino, di cui sono in fase di sperimentazione 25 tipi differenti, ma per sapere qualcosa di concreto sulla loro efficacia bisognerà attendere ancora diversi anni. Peraltro, la ricerca di vaccini è stata rivolta in particolar modo alla lotta ai sottotipi virali prevalentemente riscontrati in Occidente, mentre quella dei vaccini che prevengono la trasmissione dei sottotipi virali più diffusi nei Paesi poveri è ancora agli inizi. In questo senso, l'AIDS non rappresenta solo un capitolo tragico della storia della medicina, ma assume anche l'aspetto di un problema di giustizia sociale e una questione di salvaguardia dei diritti umani. La sproporzione fra Nord e Sud del mondo di fronte all'epidemia è stata messa in luce dalle statistiche stilate dall'inizio degli anni Ottanta, quando furono riscontrati i primi casi di AIDS. Alla fine del 2000, secondo le stime realizzate dall'UNAIDS e dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, nel mondo le persone che hanno contratto il virus HIV sono oltre 36 milioni, di cui più del 95% vive nei Paesi in via di sviluppo. È proprio in queste nazioni che si è verificato il 90% dei decessi causati dall'AIDS, di cui la maggior parte tra i giovani adulti nel pieno della loro attività produttiva e riproduttiva. In particolare, la zona più colpita dall'epidemia è la regione dell'Africa Sub-Sahariana dove, all'inizio del ventunesimo secolo, oltre 25 milioni di persone risultavano essere state contagiate dall'HIV. Il problema dell'AIDS, con i risvolti socio-politici ad esso correlati, è diventato il simbolo di coloro che sostengono il diritto di assistenza medica e farmacologica per tutti. Le cure che vengono dispensate nelle regioni più industrializzate del pianeta devono essere estese anche al Terzo mondo, in modo che la maggior parte dei malati di AIDS possano usufruire di terapie adeguate. Nello stesso modo, le organizzazioni preposte devono attivarsi costantemente al fine di diffondere nel Paesi sottosviluppati le fondamentali regole di prevenzione, necessarie per arginare l'ulteriore diffondersi della malattia. Il virus HIV, responsabile dell'AIDS L'ORGANISMO PLURICELLULARENel corso dell'evoluzione la vita è passata da forme molto semplici, organismi composti di una sola cellula, a quelle che si possono oggi osservare, composte da una miriade di cellule. Attualmente organismi unicellulari molto complessi coesistono con esseri pluricellulari altrettanto complicati.Per mantenere in vita una organizzazione più complessa occorre una maggiore quantità di energia; quale vantaggio offre allora l'essere pluricellulare per giustificare un maggiore dispendio di energia? Un primo vantaggio molto evidente dell'organismo pluricellulare consiste nel fatto che esso è molto più al sicuro dagli incidenti che possono provocare la morte: infatti se l'unica cellula che compone un essere unicellulare viene danneggiata, esso dovrà necessariamente estinguersi, mentre l'essere pluricellulare può compensare la perdita di qualche suo elemento con il suo funzionamento di altri rimasti sani. Gli organismi pluricellulari possiedono generalmente molti tipi di cellule differenti, le quali sono tutte dotate delle funzioni elementari proprie di tutte le cellule (sintesi delle sostanze necessarie, accrescimento, ecc), ma possiedono inoltre delle funzioni particolari. Sono cioè «specializzate». Questo significa che nell'ambito di uno stesso organismo gruppi di cellule lavorano insieme per compiere una determinata funzione diversa da quella svolta da altri gruppi (alcuni sono deputati alla sensibilità, altri alla conduzione degli stimoli nervosi, ecc.). Nell'organismo pluricellulare, le cellule specializzate che compiono una determinata funzione, compongono un tessuto (ghiandolare, muscolare, nervoso, ecc.). Diversi tessuti possono funzionare poi insieme nell'ambito di un organo (cuore, fegato, polmone). La specializzazione comporta anche degli svantaggi. L'organismo unicellulare fa tutto da sé: si nutre, si accresce, si riproduce, si muove, controlla tutte le sue attività. Invece in un organismo complesso un tipo di cellule compie solo un determinato lavoro, perciò ha bisogno del lavoro di tutte le altre cellule. Questo significa che quell'organismo potrebbe morire se le cellule di un determinato tipo venissero danneggiate e tutte le altre restassero intatte. Supponiamo che in un animale vengano seriamente danneggiate le cellule nervose; quell'animale morirà o almeno resterà paralizzato o colpito nella sensibilità: non potrà muoversi, o non potrà vedere, udire, o sentire gli odori, e in queste condizioni non gli riuscirà di sopravvivere a lungo. Oppure supponiamo che vengano danneggiate le cellule dei tessuti preposti alla digestione: l'animale potrà muoversi, vedere, sentire ecc., ma nel giro di qualche giorno sarà debolissimo e presto morirà. I vantaggi però superano gli svantaggi; questo spiega perché la selezione abbia favorito gli organismi che nel corso dei millenni si trasformavano acquistando strutture sempre più complesse. Un organismo composto di una cellula sola ha poche possibilità di adattamento: basta che mutino le condizioni dell'ambiente in cui si trova, perché sopraggiunga un gravissimo pericolo. Invece un organismo pluricellulare trova nelle differenze fra i suoi tessuti e i suoi organismi possibilità di miglior difesa dai pericoli costituiti dalle condizioni ambientali. Una grandissima differenza tra gli esseri unicellulari e i pluricellulari riguarda il modo di riprodursi. L'organismo unicellulare si riproduce come si riproduce ogni cellula, cioè dividendosi in due e danno vita a due cellule uguali a quella da cui sono state originate. Ciò non è evidentemente possibile ad un organismo superiore, nel quale non può certo accadere che ciascuna dei miliardi di cellule che lo costituiscono si divida in modo da formare due organismi uguali a quello iniziale. In questi organismi, come esistono organi e sistemi che servono per la digestione, il movimento, la sensibilità, così esistono sistemi e organi addetti alla riproduzione, nei quali si trovano cellule che contengono tutte le informazioni per dar vita ad un nuovo essere. Queste cellule sono le uova e gli spermatozoi. Lo spermatozoo e l'uovo si uniscono dando luogo ad una nuova cellula. Di qui se ne sviluppano molte altre. Dall'unione dello spermatozoo del gallo e dell'uovo della gallina, ad esempio, si forma una nuova cellula, da cui ne derivano altre che a poco a poco cominciano a differenziarsi: alcune formano le ossa, altre le piume, altre ancora la pelle, il tubo digerente, il becco, gli occhi, i nervi e così via. Così da una sola cellula si forma il pulcino costituito da una grandissima quantità di cellule diverse e somigliante ai suoi genitori. PARAMECIOIl paramecio è un organismo unicellulare provvisto di ciglia che gli permettono di spostarsi nell'acqua.Pur essendo molto semplici, i parameci hanno un loro caratteristico comportamento: se si pone un gruppo di parameci in una goccia d'acqua che contenga batteri tendono a riunirsi intorno ad essa per nutrirsene. VOLVOXIl Volvox è un'alga verde che si trova facilmente nell'acqua degli stagni in primavera. È formato da una serie di cellule tutte costituite nello stesso modo e contenute nell'interno di una sfera cava. È una serie di colonie di cellule. Ogni cellula è rivestita da una sostanza gelatinosa che la divide dalle altre vicine; da questo strato gelatinoso sporgono delle appendici filiformi, dette flagelli, per mezzo delle quali l'intera colonia si muove nell'acqua con un moto coordinato. Alcune cellule più grandi delle altre, sono situate nella parte posteriore rispetto alla direzione in cui il Volvox si muove, e sembra che contribuiscano in modo ancora mal conosciuto alla riproduzione. Pare cioè che esista una certa specializzazione all'interno della colonia.ANEMONE DI MAREL'anemone di mare, chiamato anche attinia, come tutti gli altri celenterati, è un organismo pluricellulare.Il corpo ha numerosi tentacoli forniti di cellule urticanti con i quali si procura il nutrimento e che lo fanno assomigliare a un fiore. Presenta una sola apertura dalla quale introduce il cibo ed espelle i rifiuti. Enciclopedia termini lemmi con iniziale a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Storia Antica dizionario lemmi a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Dizionario di Storia Moderna e Contemporanea a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w y z Lemmi Storia Antica Lemmi Storia Moderna e Contemporanea Dizionario Egizio Dizionario di storia antica e medievale Prima Seconda Terza Parte Storia Antica e Medievale Storia Moderna e Contemporanea Dizionario di matematica iniziale: a b c d e f g i k l m n o p q r s t u v z Dizionario faunistico df1 df2 df3 df4 df5 df6 df7 df8 df9 Dizionario di botanica a b c d e f g h i l m n o p q r s t u v z |
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